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Il Tribunale di Siracusa, con la sentenza n. 83 del 2018, ha stabilito che non è consentito all’INPS di fare richiesta di contributi sulla base di un accertamento fiscale, se c’è un contenzioso in corso.

Vediamo nel dettaglio quanto accaduto, con l’articolo pubblicato oggi (31.1.2018) dal Sole 24 Ore (firma: S. Morina e T. Morina; Titolo: “Stop alle richieste INPS se c’è ricorso”) che di seguito riportiamo.

La richiesta dei contributi fatta dall’Inps sulla base dell’accertamento fiscale è sbagliata. In pendenza del ricorso del contribuente contro l’accertamento emesso dall’agenzia delle Entrate, all’istituto di previdenza è preclusa qualsiasi richiesta (sentenza del tribunale di Siracusa 83/2018, pubblicata il 25 gennaio 2018).
Per effetto delle regole diverse tra Inps ed Entrate molti contribuenti, dopo avere ricevuto l’accertamento dell’Agenzia contenente anche la richiesta dei contributi previdenziali, a distanza di qualche anno si vedono ripetere la stessa richiesta da parte dell’istituto previdenziale. In questo modo, se si intende contestare l’accertamento del Fisco, si deve presentare ricorso ai giudici tributari e, per contestare la richiesta dell’Inps, va presentato ricorso al tribunale, in funzione di giudice del lavoro.
Peraltro le sentenze emesse potranno essere di segno diverso, una positiva e l’altra negativa o viceversa. Così come capita spesso che l’accertamento venga definito in adesione con l’ufficio delle Entrate, comprensivo dei contributi Inps concordati, ma la definizione potrebbe non rilevare per l’istituto di previdenza.
Inoltre, se il contribuente si “dimentica” di fare il secondo ricorso entro 40 giorni dalla notifica, a prescindere dagli esiti di quello presentato alla commissione tributaria provinciale, decorso il termine di 60 giorni dalla notifica l’avviso di addebito dell’Inps, che costituisce titolo esecutivo, comporta l’obbligo di pagare. Se non si adempie, l’agente della riscossione potrà procedere all’espropriazione forzata.
Il “guaio” è che l’Inps continua a chiedere i contributi senza considerare gli insegnamenti della Cassazione. Per i giudici di legittimità, «l’articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, che prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia provvedimento esecutivo del giudice qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’agenzia delle Entrate, né è necessario, ai fini di detta non iscrivibilità a ruolo, che, in quest’ultima ipotesi, l’Inps sia messo a conoscenza dell’impugnazione dell’accertamento davanti all’autorità giudiziaria anche quando detto accertamento è impugnato davanti al giudice tributario».

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