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Whistleblowing i primi quesiti sulla interpretazione della legge

La Legge 179 del 2017 in vigore del 29 dicembre scorso ha introdotto nel nostro ordinamento il c.d. whistleblowing ossia la segnalazione all’autorità, da parte di un dipendente, di un illecito avvenuto nella Pubblica Amministrazione o nell’azienda in cui lavora (es. casi di corruzione o atti illeciti compiuti dai colleghi). In tali casi la legge 179 prevede una tutela speciale nei confronti del whistleblower ma non un premio.

Tuttavia dopo l’entrata in vigore della citata legge sono sorti per gli operatori alcuni quesiti circa l’interpretazione delle norme da cui è composta.

Vediamo meglio di cosa si tratta con lo speciale pubblicato oggi (10.1.2018) dal Sole 24 Ore (firma: R. Borsari; Titolo: “Il segreto si piega al whistleblowing” e anche: “Punibile la denuncia di natura calunniosa o diffamatoria”; firma: Paolo Tosi) che di seguito riportiamo.

Il segreto si piega al whistleblowing

L’intreccio delle nuove tutele con l’interesse all’integrità di informazioni riservate

La nuova legge 179/17 sul cosiddetto whistleblowing, in vigore dal 29 dicembre, pone gli operatori di fronte ai primi quesiti interpretativi.
L’articolo 3 introduce un’opportuna disciplina di coordinamento con la materia penale, mettendo al riparo il segnalatore da eventuali responsabilità. Il comma 1 della disposizione prevede, infatti, che nelle segnalazioni o denunce effettuate nelle forme e nei limiti previsti dal provvedimento (e quindi, con riferimento ai testi aggiornati degli articoli 54-bis del Dlgs 165/01 per il settore pubblico e dell’articolo 6 del Dlgs 231/01 per il settore privato), il perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni pubbliche o private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni, costituisca giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo del segreto, con riferimento alle fattispecie di reato di cui agli articoli 326 del Codice penale (Rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio), 622 del Codice penale (Rivelazione di segreto professionale) e 623 del Codice penale (Rivelazione di segreti scientifici o industriali), oltreché in relazione all’obbligo di fedeltà del dipendente di cui all’articolo 2105 del Codice civile.
Sul concetto di «giusta causa» in ambito penale, la giurisprudenza (su tutte, Corte costituzionale 5/2004) ha osservato come tale clausola svolga la funzione di «valvola di sicurezza» del sistema penalistico, «evitando che la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente “inesigibile” in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessità di tutelare interessi confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori».
Si osserva, dunque, come il Legislatore abbia voluto inserire una norma di bilanciamento per permettere il rispetto del principio di non contraddizione dell’ordinamento. Operando quale “selezionatore” degli interessi meritevoli di tutela, ha infatti ritenuto di privilegiare la necessità di prevenire i comportamenti illeciti e/o irregolari rispetto alle (legittime) aspettative di tutela del segreto d’ufficio, professionale o aziendale.
La «giusta causa» prevista dalla disposizione in commento opererà quale norma di liceità affiancata alle cause di giustificazione eventualmente applicabili nelle ipotesi di cui agli articoli 326 e 623 del Codice penale, mentre svolgerà un ruolo definitorio nel tipizzare la portata dell’inciso presente nell’articolo 622 del Codice penale. Va infatti precisato che tra le ipotesi di reato oggetto di interesse da parte della norma, il solo articolo 622 del Codice penale prevede nel proprio corpo un riferimento relativo all’assenza di una giusta causa, mentre gli articoli 326 e 623 del Codice penale vedono la propria operatività limitata dalla sola applicazione delle cause di giustificazione cosiddette ordinarie, quali, ad esempio, l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere (articolo 51 del Codice penale).
La norma di nuovo conio prosegue precisando che tale «clausola di salvezza» delle condotte rivelatorie non si applica se l’obbligo di segreto professionale sia riferibile ad un rapporto di consulenza professionale o di assistenza (comma 2), e che costituisce violazione dell’obbligo di segreto (aziendale, professionale o d’ufficio) la rivelazione effettuata con modalità eccedenti rispetto alle finalità di eliminazione dell’illecito, con particolare riferimento al rispetto del canale di comunicazione a tal fine specificamente predisposto (comma 3), che nel settore privato dovrà essere efficacemente adottato e attuato tramite un adeguato protocollo nel modello organizzativo. La norma stessa, quindi, precisa i limiti e le forme entro cui dovrà muoversi il “rivelatore” per evitare di incorrere in responsabilità. Fermo il riferimento del primo comma al «perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni» circa la finalità da perseguire con la segnalazione, pare peraltro ragionevole ritenere che essa dovrà rispettare il canone della veridicità (o, quantomeno, della plausibile verosimiglianza, per non comprimere eccessivamente la libertà valutativa del possibile whistleblower), ed eventualmente coordinarsi con l’elaborazione che dottrina e giurisprudenza hanno svolto sul requisito di “coscienza dell’innocenza” previsto nella fattispecie di calunnia (articolo 368 del Codice penale).

IL CONFRONTO TRA PUBBLICO E PRIVATO

SEGNALAZIONI 

Con la nuova legge 179/17 il dipendente pubblico (a cui sono parificati anche i dipendenti dei fornitori) può denunciare alla magistratura, al responsabile della prevenzione della corruzione, all’Autorità nazionale anticorruzione, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza per effetto del proprio rapporto di lavoro. Caduta la necessità della buona fede, è conservato l’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione. Il lavoratore impiegato in un’impresa privata, a tutela dell’integrità dell’ente, può effettuare segnalazioni circostanziate di condotte illecite. Le condotte tuttavia devono essere rilevanti e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti

DIVIETI 

Il pubblico dipendente non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro per effetto della segnalazione. L’adozione di misure ritorsive nei confronti del segnalante è comunicata sempre all’Anac dall’interessato o dai sindacati. Nel settore privato è introdotto il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione. Le misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni può essere denunciata all’Inl

SANZIONI 

Nella Pa se viene accertata dall’Anac l’adozione di misure discriminatorie essa applica al responsabile della misura una sanzione pecuniaria da 5mila a 30mila euro. L’eventuale licenziamento è nullo e il lavoratore va reintegrato.
Nel privato il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono poi nulli il cambiamento di mansioni e ogni altra misura ritorsiva o discriminatoria. È onere datoriale, in caso di controversie sull’irrogazione di sanzioni o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, misure organizzative con effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla segnalazione, dimostrarne la legittimità

 

Punibile la denuncia di natura calunniosa o diffamatoria

La legge 179/17 sul whistleblowing realizza un ponderato contemperamento tra il dovere di fedeltà dei lavoratori, pubblici e privati, e l’interesse del lavoratore e della stessa collettività alla segnalazione di condotte illecite, garantendo ai dipendenti la riservatezza della denuncia e la tutela da misure ritorsive e/o discriminatorie. L’incremento delle segnalazioni dovrebbe costituire un contributo significativo per la prevenzione dei fenomeni corruttivi e di altri reati d’impresa.
Per realizzare tali obiettivi, il legislatore ha implementato la norma già prevista dalla legge Severino 190/12 in primo luogo estendendone l’applicazione ai dipendenti di enti pubblici economici e alle società controllate, come già suggerito dall’Anac nelle proprie linee guida. La nuova legge ha inoltre incrementato la tutela del lavoratore prevedendo la nullità di ogni atto discriminatorio o ritorsivo (compreso il licenziamento) a suo danno (dal demansionamento al trasferimento al licenziamento) e l’onere per l’amministrazione di provare l’estraneità di tali atti rispetto alla segnalazione. Così garantita la tutela del lavoratore, in un’ottica appunto di prevenzione della corruzione, il legislatore ha previsto sanzioni amministrative per l’adozione di atti ritorsivi e/o discriminatori e per il mancato approfondimento delle segnalazioni ricevute.
Sul versante privato, la tutela si snoda sui medesimi principi di riservatezza, nullità di atti ritorsivi o discriminatori (licenziamento incluso) ed onere per il datore di lavoro di provare la loro estraneità rispetto alla segnalazione. Pur improntata sui medesimi pilastri, la tutela per il lavoratore privato è minore in quanto riferita alle sole segnalazioni interne all’azienda (in ambito pubblico sono tutelate anche le segnalazioni esterne ad Anac e autorità giudiziaria) ed alle sole segnalazioni concernenti reati e violazioni dei modelli organizzativi previsti dal Dlgs 231/2001 (in ambito pubblico le segnalazioni si riferiscono alle condotte illecite anche di rilievo non penale), modelli la cui adozione non è peraltro obbligatoria ma rimessa all’interesse delle persone giuridiche di non rispondere per eventuali reati commessi dai propri rappresentanti.
La linea di demarcazione tra diritto di denuncia e dovere di fedeltà è in entrambi i casi data dalla natura calunniosa o diffamatoria della denunzia e, quindi, essenzialmente dalla presentazione dolosa o gravemente colpevole di una segnalazione infondata. Comportamento che priva di ogni tutela il dipendente – infedele – e che può essere sanzionato disciplinarmente.
La legge è certamente apprezzabile sia per il rafforzamento delle misure a tutela dei dipendenti (essenziale al riguardo l’inversione dell’onere probatorio), sia per l’estensione della tutela ai dipendenti delle società controllate (con significativa loro equiparazione ai dipendenti pubblici) e ai dipendenti delle società private (per i quali è stato correttamente escluso ogni obbligo di segnalazioni di illeciti, eccedente rispetto alla ratio normativa e incompatibile con la normativa penale sugli obblighi di denuncia che, salvi reati gravissimi, si riferisce solo a pubblici ufficiali ed incaricati di pubblici servizi).

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