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Licenziamento, no alla giusta causa per lite con il collega fuori ufficio: 

La Corte Suprema di Cassazione, con la ordinanza 297 del 2018, ha rilevato la non sussistenza della “giusta causa di licenziamento per la lite col collega avvenuta fuori ufficio” e pertanto “l’indennità dovuta è quella che va dalle 12 alle 24 mensilità” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore, Firma: F. Machina Grifeo).

La vicenda all’esame della Corte Suprema riguardava la richiesta al magistrato del lavoro di declaratoria di illegittimità del licenziamento di un dipendente di una Sala Bingo per avere avuto un’accesa discussione con un altro collega usando toni aggressivi in presenza di altri dipendenti e clienti presenti in sala, con contestazione di recidiva, e di aver proseguito in tale litigio, anche fuori i luoghi di lavoro, con degenerazione in rissa, uso di armi da taglio e lesioni fisiche. Il giudice di primo grado respingeva la domanda del lavoratore.

Successivamente la Corte di Appello riformava la sentenza di primo grado per effetto “dell’accertata insussistenza della giusta causa del licenziamento” e dichiarava risolto il rapporto di lavoro con condanna della società al risarcimento del danno, liquidato in un’indennità pari a sei mensilità di retribuzione globale di fatto. In particolare, ad avviso della Corte d’Appello, non poteva ritenersi realizzato l’illecito disciplinare previso dalla lettera f) dell’art. 192 ccnl, ma che non era integrata neanche altra condotta disciplinarmente rilevante contemplata dalla stessa norma, per la quale era prevista la massima sanzione espulsiva, sicchè doveva escludersi la giusta causa di licenziamento, non essendo stato il comportamento tenuto fuori dei locali dell’azienda in continuità spaziale e temporale con quello avveratosi nel contesto aziendale.

Avverso tale sentenza il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.

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La Corte Suprema investita della questione accertava che non ricorrevano gli estremi della giusta causa di licenziamento intimato al lavoratore e che la sanzione era sproporzionata rispetto alla parte della condotta contestata e provata (pesante diverbio litigioso avuto con un collega), al che doveva conseguire che la fattispecie applicabile fosse quella delineata al 5° comma dello stesso articolo 18, che prevede, per i casi ulteriori rispetto a quelli indicati nel comma 4° (mancanza degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa… per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili) la risoluzione del rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria.

La Cassazione pertanto accoglieva il ricorso proposto dal lavoratore.

Per conoscere tutti i dettagli consultare la ordinanza 297 del 2018 disponibile cliccando sul link.

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