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Giustificato motivo soggettivo e dichiarazioni confessorie del lavoratore:

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 23260 del 2017, in tema di giustificato motivo soggettivo ha ritenuto legittimo il licenziamento adottato nei confronti di un dipendente delle poste che aveva sottratto indebitamente delle somme di denaro, anche sulla base delle dichiarazioni confessorie rese dal lavoratore agli ispettori procedenti.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, come si legge nella sentenza 23260/2017, era stato irrogato, come si è detto, poiché il lavoratore aveva effettuato due operazioni di prelevamento di 2500 euro ciascuno sul libretto di risparmio postale intestato ad altri, senza previa esibizione del titolo e senza successiva annotazione sullo stesso. Fatti questi che avevano irrimediabilmente leso il rapporto fiduciario alla base del rapporto di lavoro.

Il lavoratore si era giustificato sul punto sostenendo che egli non avrebbe mai potuto accedere direttamente a tale libretto di risparmio non avendo accesso al numero di origine dello stesso, mentre avrebbe potuto accedervi un altro collega, sindacalista da lui conosciuto, che aveva compiuto altre operazioni simili. Tali indebiti prelievi, affermava ancora il lavoratore licenziato, sarebbero stati effettuati quando egli era sotto effetto degli psicofarmaci che assumeva e che lo costringevano ad allontanarsi spesso dalla sua postazione di lavoro, Chiunque pertanto, a suo avviso, avrebbe potuto effettuare l’operazione di prelievo indebito visto che aveva lasciato aperto il terminale della sua postazione.

La Suprema Corte, esaminate le dichiarazioni del lavoratore di natura confessoria, rese agli ispettori procedenti nell’ambito della procedura disciplinare ed oggetto della contestazione disciplinare relativa al licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ha ritenuto legittimo il licenziamento irrogato. Non ha pertanto rinvenuto alcun vizio motivazionale costituito dal mancato esame di un fatto decisivo, come sostenuto dal lavoratore ricorrente (assunzione di psicofarmaci e terminale aperto durante il suo allontanamento) non potendo più rilevare la non particolare ampiezza delle argomentazioni motivazionali della sentenza di appello su ogni aspetto dell’istruttoria testimoniale che tuttavia non abbia il carattere di decisività che la nuova disposizione legislativa richiede. Il lavoratore ricorrente, come si legge in sentenza, ha proposto nel ricorso per cassazione una diversa lettura delle prove testimoniali finalizzata a richiedere una diversa valutazione dei fatti, operazione preclusa – come è noto – innanzi alla Suprema Corte.

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