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Dequalificazione quando non si verifica ad avviso della Cassazione:

La Corte di Cassazione, con la sentenza 23264 del 2017, ha ritenuto insussistente la dequalificazione di un lavoratore nel caso in cui l’attribuzione a differenti mansioni non impoverisce le cognizioni professionali possedute dal dipendente.

Il lavoratore dipendente di una compagnia aerea, nel caso all’esame della sentenza 23264/2017, era stato infatti trasferito in un’altra sede dell’azienda (collocata in amministrazione straordinaria) e qui gli venivano assegnate differenti mansioni che a suo avviso lo dequalificavano. Nello specifico le nuove mansioni consistevano in raccolta dati relativi a disguidi connessi a disagi per i passeggeri e relativo costo aziendale, mentre le mansioni precedentemente svolte consistevano nell’inserimento dati relativi al settore “programmazione e rilascio piani di volo”

Si rivolgeva quindi alla magistratura del lavoro per ottenere – tra le altre cose – un risarcimento per demansionamento, inattività forzosa e mobbing. Ma la Corte di Appello aveva ritenuto che il datore di lavoro aveva esercitato correttamente il suo potere organizzativo e quindi il trasferimento e l’attribuzione a nuove e differenti mansioni del lavoratore erano state ritenute legittime, non essendosi verificata alcuna dequalificazione professionale.

La Suprema Corte ha invece ritenuto corretto il ragionamento della Corte di Appello poiché quest’ultima, come si legge nella sentenza 23264, ha reso una motivazione perfettamente comprensibile e coerente con la risultanze processuali esaminate. Infatti, dopo aver scrutinato le deposizioni testimoniali raccolte, è pervenuta all’accertamento dell’equivalenza delle mansioni assegnate al lavoratore nella nuova sede rispetto a quelle in precedenza svolte, sul presupposto della “corrispondenza dell’esperienza di base per l’utilizzazione di entrambi i sistemi informatici e la riconducibilità di tutti i sistemi al volo come base di riferimento comune”. Pur nella diversità delle specifiche attribuzioni, si legge ancora nella citata sentenza, il mutamento delle mansioni disposto dall’azienda non aveva, dunque, prodotto demansionamento né impoverimento delle cognizioni professionali del ricorrente.

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La Suprema Corte ha quindi rigettato il ricorso proposto dal lavoratore o la ha altresì condannato al pagamento delle spese di lite.

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