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Ape volontario, non è prevista la cessazione attività:

Erogazione di un prestito con cadenza mensile precedentemente alla pensione e rimborso al momento del pensionamento con trattenuta sull’assegno pensionistico, questo è quanto contenuto nella disciplina Ape che tuttavia non ha previsto espressamente l’obbligo di smettere di lavorare al raggiungimento dell’età pensionabile. Aspetto quest’ultimo che potrebbe creare ritardi nel funzionamento di tutto il meccanismo Ape poiché il rimborso del prestito potrebbe non avere una “data certa”, qualora il lavoratore decidesse di non andare in pensione immediatamente.

E per comprendere meglio tale aspetto della normativa Ape volontario ci viene in aiuto l’articolo pubblicato oggi (20.9.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Antonello Orlando; Titolo: “Rimborso Ape senza data certa”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

L’Ape volontario prevede l’erogazione di un prestito con cadenza mensile nel periodo che precede la pensione (da un minimo di sei e fino a un massimo di 43 mesi, salvo adeguamento alla speranza di vita) e la restituzione dello stesso nei primi anni di pensionamento, con trattenuta sull’assegno previdenziale.

Tuttavia questo meccanismo di finanziamento si potrebbe inceppare, perché la normativa messa a punto finora non prevede espressamente l’obbligo di smettere di lavorare una volta raggiunta l’età pensionabile.

Come previsto dalla legge di bilancio 2017 (articolo 1, comma 169, legge 232/2016), al momento della richiesta dell’Ape volontario l’assicurato presenterà anche una domanda non revocabile di pensionamento di vecchiaia «da liquidare al raggiungimento dei requisiti di legge». Oltre ai requisiti anagrafici fissati dall’articolo 24 del decreto legge 201/2011 (nel 2018 pari a 66 anni e 7 messi per uomini e donne, indipendentemente dal settore di attività), per la pensione di vecchiaia rimangono sempre validi i requisiti previsti dagli articoli 1 e 2 del Dlgs 503/1992 che, oltre ai venti anni di contributi, prevede anche (articolo 1, comma 7) la «cessazione del rapporto di lavoro»; tale requisito è stato ulteriormente ribadito dall’Inps, all’indomani della riforma del 2011, con la circolare 35/2012 al punto 3.

Dunque, la domanda di pensione di vecchiaia rimane subordinata, ai fini della propria efficacia e della decorrenza della prestazione, alla chiusura del rapporto che può avvenire in via unilaterale (licenziamento o dimissione) o anche attraverso una risoluzione consensuale. Tuttavia nel testo, in attesa di pubblicazione, del Dpcm di attuazione della legge 232/2016, l’articolo 7, comma 3, prevede l’inoltro di una domanda non revocabile di pensione attraverso un modello allegato allo stesso decreto, in cui non è esplicitamente previsto alcun impegno da parte del lavoratore alla risoluzione del rapporto.

Il fac-simile della domanda allegata al Dpcm, diversamente dalle ordinarie domande di pensione presentabili via sito Inps o attraverso un intermediario autorizzato, non prevede alcuna menzione in riferimento alla data e alla modalità di cessazione del rapporto di lavoro, forse anche per via della distanza cronologica rispetto al momento di attivazione dell’Ape.

Tale aspetto rimane tuttavia di fondamentale importanza in quanto, se al momento della fine del periodo di fruizione dell’Ape il richiedente, pur avendo maturato i requisiti anagrafici, non cessasse dal proprio rapporto di lavoro, non percepirebbe più l’anticipo ma nemmeno la pensione e lo scadenziario del piano di ammortamento non potrebbe materialmente avviarsi.

È pur vero che chi chiede l’Ape punta a smettere di lavorare il prima possibile (o già ha perso l’impiego), tuttavia nel corso del tempo potrebbe ripensarci, per esempio se fruisce dell’anticipo continuando a lavorare, magari con un impiego part time (opzione consentita dalla normativa). Si attendono, sul punto, necessari chiarimenti da parte dell’Inps con la circolare dedicata all’Ape volontario che sarà diffusa solo dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpcm.

 

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