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Competenza del giudice del lavoro in caso di procedura concorsuale:

La Corte di Appello di Milano, con la sentenza n. 1056 del 2017, ha stabilito la competenza del giudice del lavoro e non del tribunale fallimentare sull’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra una società utilizzatrice in amministrazione straordinaria e un lavoratore.

Ma vediamo nel dettaglio come viene argomentata la questione della competenza del magistrato del lavoro e non di quello fallimentare di cui alla sentenza 1056/2017, nell’articolo pubblicato oggi (21.6.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Maddalena Lebro e Uberto Percivalle; Titolo: “Competenza ampia per il giudice del lavoro”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

È competente il giudice del lavoro, e non il tribunale fallimentare, ad accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra lavoratore e società utilizzatrice in amministrazione straordinaria, in quanto non si tratta di domanda volta alla mera tutela di diritti patrimoniali bensì a quella della posizione del lavoratore all’interno della società.
Lo ha ribadito la Corte d’appello di Milano (presidente relatore Cristina Trogni) che, con la sentenza 1056 del 22 maggio 2017. Un lavoratore è ricorso al tribunale per sentire dichiarare l’illegittimità di vari contratti di somministrazione a tempo determinato e conseguentemente accertare la sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato ab origine con l’utilizzatore. Tuttavia, il giudice di primo grado ha dichiarato improcedibile il ricorso poiché, in base all’articolo 24 della legge fallimentare, le domande relative ai crediti sorti in epoca anteriore all’apertura della procedura concorsuale non possono che essere di competenza del tribunale fallimentare.

A sostegno di tale interpretazione il giudice ha richiamato un risalente (e a quanto consta, piuttosto isolato) orientamento di legittimità secondo cui la domanda di accertamento circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituirebbe solo una premessa per ottenere, all’interno del medesimo giudizio, vantaggi patrimoniali di natura retributiva o risarcitoria. La Corte milanese ha però ritenuto di richiamarsi a un diverso (e consolidato) orientamento di Cassazione che, con specifico riferimento alle società in amministrazione straordinaria, sottolinea la necessità di distinguere tra domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento o costitutive (per le quali sussiste la competenza del giudice del lavoro) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro.

Tale principio si applica anche al caso di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro con l’utilizzatore come conseguenza dell’illecita somministrazione a termine, in quanto tale domanda è connessa all’esigenza del lavoratore di tutelare in toto la propria posizione all’interno dell’impresa, con riferimento a diritti anche non patrimoniali.

Alla luce di tali principi, la Corte d’appello ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale, dichiarando la propria competenza.

Con riferimento all’illegittimità dei contratti di somministrazione a termine (in applicazione della norma all’epoca vigente, il Dlgs 276/2003), la Corte ha ritenuto troppo generica la causale «commesse aventi carattere di eccezionalità». In secondo luogo la Corte ha ritenuto che l’utilizzatore non avesse assolto al proprio onere di allegazione, dimostrando che la somministrazione fosse effettivamente riconducibile, per tempi e necessità di organico, alle commesse portate all’attenzione dei giudici. Non ritenendo dimostrato alcuno dei due punti il collegio ha accertato la sussistenza del rapporto di lavoro.

 

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