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Licenziamento collettivo niente reintegra se ci sono vizi di comunicazione:

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19320 del 2016, ha stabilito che nel licenziamento collettivo la reintegra non spetta se vi sono vizi di comunicazione sui criteri di scelta utilizzati, ma si ha diritto solo ad un risarcimento.

E di licenziamento collettivo di cui alla sentenza 19320/2016 ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (21.10.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli; Titolo: “Pochi «dati», stop alla reintegra”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

In caso di licenziamento collettivo niente reintegra se la comunicazione conclusiva è solo incompleta. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 19320/2016, chiamata a valutare le conseguenze di un vizio di comunicazione relativa ai criteri di selezione adottati per un licenziamento collettivo, come prescritto dall’articolo 4, comma 9, della legge 223/1991.

Nell’ambito di un licenziamento collettivo, il datore di lavoro ha espresso nella comunicazione conclusiva all’ufficio del lavoro l’intenzione di valorizzare il criterio dell’anzianità acquisita dai lavoratori nella mansione, attribuendo «due punti per ogni anno di attività, calcolato in giorni, svolto nell’attuale mansione, riscontrabile da relativa documentazione», ma senza specificare la data di inizio delle esperienze lavorative, la relativa durata, il nominativo del precedente datore di lavoro, né la documentazione presa in considerazione per l’attribuzione del punteggio finale.

La Corte di appello di Catanzaro ha accolto le doglianze di un lavoratore licenziato, e ha sottolineato che è stato violato l’obbligo di «puntuale indicazione delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta»: circostanza che ha impedito ai lavoratori, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi il controllo della la correttezza dell’operazione, e la corrispondenza agli accordi raggiunti. La Corte, per conseguenza, ha ritenuto che il vizio accertato costituisce una «violazione dei criteri di scelta», e che come tale deve essere sanzionato, secondo l’articolo 5, comma 3, della legge 223/1991, con la reintegrazione e la condanna al risarcimento del danno, liquidato in 18 mensilità.

Il datore di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione, riaffermando la legittimità della comunicazione, perché i presupposti di fatto sui quali si basava la graduatoria ben avrebbero potuto essere verificati mediante richiesta di accesso agli atti presenti in azienda, e lamentando altresì come, in ogni caso, dalla violazione accertata sarebbero dovute derivare solo conseguenze risarcitorie (articolo 18, comma 5, della legge 300/1970), e non già la reintegrazione (articolo 18 della stessa legge).

La Cassazione non ha accolto le difese del datore in merito alla comunicazione, ritenendola definitivamente illegittima sulla scorta del principio che anche i presupposti fattuali in base ai quali vengono applicati i criteri di selezione devono essere ricavabili dalla comunicazione stessa.

Tuttavia ha ritenuto che «diversi sono i presupposti del vizio attinente la violazione dei criteri di scelta, legittimante la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento di una indennità risarcitoria, in quanto … tale caso si ha non nell’ipotesi di incompletezza formale della comunicazione… bensì allorquando i criteri di scelta siano, ad esempio, illegittimi, perché in violazione di legge, o illegittimamente applicati, perché attuati in difformità delle previsioni legali o collettive», con la conseguenza quindi che la fattispecie sanzionatoria applicabile al caso specifico è meramente indennitaria.

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