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Risarcimento per licenziamento illegittimo non si detrae l’aliunde perceptum:

In tema di licenziamento illegittimo, dal risarcimento del danno dovuto al lavoratore non si detrae l’aliunde perceptum ossia quelle somme di denaro guadagnate tra il licenziamento e il provvedimento di reintegra nel posto di lavoro, se tale reddito deriva da un’attività di lavoro autonomo già svolta in costanza di rapporto di lavoro dipendente e prima del recesso datoriale.

È questo, in sintesi, il principio reso dalla Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 7685 del 2016 del 2016, depositata il 18 aprile 2016.

In particolare, il principio espresso dalla Cassazione, sull’entità del risarcimento del danno per licenziamento illegittimo di cui alla sentenza n. 7685/2016, è il seguente.

In tema di licenziamento individuale, il compenso per lavoro subordinato o autonomo – che il lavoratore percepisca durante il periodo intercorrente tra il proprio licenziamento e la sentenza di annullamento relativa (cosiddetto periodo intermedio) – non comporta la riduzione corrispondente (sia pure limitatamente alla parte che eccede le cinque mensilità di retribuzione globale) del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, se – nei limiti in cui – quel lavoro risulti, comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento, come deve ritenersi nel caso di specie, in cui il lavoro medesimo risulti già svolto, prima del licenziamento, congiuntamente alla prestazione lavorativa di fatto interrotta.

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Inversamente, prosegue la Corte, può affermarsi che ogni volta che si affermi il diritto al ripristino del rapporto di lavoro, al lavoratore spetta un risarcimento commisurato alle retribuzioni non percepite, ma dal suddetto importo sono deducibili i ricavi che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa e resi possibili, quindi, solo dalla sua interruzione.

In pratica il lavoratore – dipendente da una società di vigilanza – era stato licenziato per giusta causa, perché durante la malattia aveva arbitrato una partita di calcio. Tale licenziamento era stato in primo grado dichiarato illegittimo e il lavoratore, oltre ad essere reintegrato nel posto di lavoro, otteneva un risarcimento commisurato alle mensilità di retribuzione maturate dalla data di licenziamento e fino alla sentenza di reintegra in servizio.

Successivamente, la Corte d’Appello adita dal datore di lavoro aveva parzialmente riformato tale sentenza, poiché riduceva il risarcimento del danno spettante al lavoratore deducendo i compensi percepiti da questi per effetto di una collaborazione già presente al momento dell’intimazione del licenziamento stesso.

 

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