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Illegittimo licenziare se il CCNL prevede una sanzione minore:

È illegittimo licenziare un lavoratore per giustificato motivo soggettivo se il CCNL prevede per la violazione una sanzione minore e non espulsiva, secondo la decisione della Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 6165 del 2016.

Il caso all’esame della Suprema Corte, sulla questione che è illegittimo licenziare se l’infrazione non è prevista nel CCNL come causa di provvedimento espulsivo, riguarda la seguente vicenda.

La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata il 1 marzo 2013, in totale riforma della sentenza del Tribunale di Palmi, ha respinto il ricorso, proposto da (omissis) nei confronti della (omissis), volto alla declaratoria di illegittimità ed inefficacia del licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo in data 3 maggio 2005 ed alla pronunzia dei provvedimenti reintegratori economici e reali.

Ha ritenuto che non risultava contestato che il giorno 12.4.2005 il lavoratore, in malattia dal 29.3.2005 al 18.4.2005, si era recato presso la sede sociale della cooperativa per rivendicare il pagamento di alcune spettanze economiche e che, a fronte dell’invito del Presidente (omissis) ad attendere la disponibilità finanziaria, aveva profferito alcune espressioni sconvenienti e minacciose nel dialetto locale.

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Di contro, non era rimasto provato che il lavoratore, fuori dall’Ufficio, avesse pronunciato, nei confronti del (omissis), una frase altrettanto volgare.

Il riferimento, contenuto nella lettera di contestazione in data 15.4.2015, al fatto che i lavoratore, benché in malattia, si era recato negli uffici della azienda, consentiva di ritenere “in nuce” contestata la violazione dell’art. 35 del CCNL, violazione richiamata nella lettera di licenziamento.

La fattispecie dell’abuso delle norme relative al trattamento di malattia, da intendersi come fittizio stato di malattia, prevista dalla norma collettiva sopra richiamata, doveva ritenersi realizzata.

Tanto perché era risultato dimostrato che il lavoratore non era ammalato, avuto riguardo all’energia manifestata il giorno 12.4.2005, e perché lo stesso lavoratore aveva dichiarato, in sede di libero interrogatorio, di avere in precedenza manifestato il proposito di mettersi in malattia in reazione al diniego della datrice di lavoro di pagare le spettanze economiche dovute.

In ogni caso, il contegno volgare e intimidatorio costituita violazione delle norme della comune etica e del comune vivere civile e della relazione di subordinazione, la quale impone il rispetto da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro.

La gravità dell’illecito doveva essere valutata anche con riguardo al provvedimento disciplinare in data 14.3.2005, richiamato nella comunicazione di licenziamento, con il quale era stato sanzionato il rifiuto manifestato dal (omissis) di cambiare il turno e l’abbandono del posto di lavoro, condotte accompagnate dalla pronuncia di frasi intimidatorie.

L’elencazione delle fattispecie sanzionate con il licenziamento con preavviso, contenuta nell’art. 35 del CCNL Porti, aveva mero valore semplificativo.

Avverso detta sentenza (omissis) ha proposto ricorso per cassazione. La (omissis) resisteva con controricorso.

Relativamente alla frase intimidatoria, il ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la sussistenza del giustificato motivo soggettivo di licenziamento con preavviso perché le frasi, pacificamente pronunziate, non avevano carattere intimidatorio, avuto riguardo al significato delle espressioni utilizzate e pronunziate nel dialetto locale, e non erano contrarie al vivere civile, avuto riguardo all’uso comune delle parole profferite nell’ambito di contesti sociali, quale il suo, a bassa scolarizzazione.

D’altra parte, la frase “qua dentro mi sto zitto ma fuori parliamo da pari a pari”, in cui non era ravvisabile alcun contenuto o intento di minaccia, evidenziava la consapevolezza di esso lavoratore della opportunità di tacere all’interno dei luoghi di lavoro.

Ad avviso della Suprema Corte, il giudizio di gravità formulato dalla Corte d’Appello viola le previsioni del CCNL, che punisce con la sanzione espulsiva (art. 35 lett. a bis del CCNL Porti) il diverbio litigioso o oltraggioso seguito da vie di fatto avvenuto all’interno dell’Azienda/Ente atteso che nella fattispecie in esame alle espressioni rivolte al presidente della (omissis) non è seguito il passaggio alle vie di fatto.

La Corte Suprema ha pertanto reputato che in tema di licenziamento le tipizzazioni degli illeciti disciplinari contenute nei contratti collettivi, rappresentando le valutazioni che le parti sociali hanno fatto in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità non consentono al datore di lavoro di irrogare la sanzione risolutiva quando questa costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione.

In conclusione, dunque, è illegittimo licenziare un dipendente per giustificato motivo soggettivo se il CCNL per la medesima violazione prevede una sanzione minore e conservativa.

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