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Clausola sociale call center e riforma appalti:

La legge di riforma degli appalti, che entrerà in vigore il prossimo 13 febbraio, introdurrà la norma sulla clausola sociale per i call center e alla sua stregua in caso di successione di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e la medesima attività, il rapporto di lavoro continua con l’appaltatore subentrante, secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento (art. 1, comma 10, L.n. 11 del 2016).

A parlarcene è anche l’articolo pubblicato oggi (11.2.2016) sul Sole 24 Ore (Firma: Giampiero Falasca; Titolo: “Call center, garanzie sulla carta”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

Il 13 febbraio diventerà operativa la disposizione che introduce la clausola sociale per il settore dei call center, quale conseguenza della pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge di riforma degli appalti (la 11/2016).

Secondo l’articolo 1, comma 10, della norma, gli addetti impiegati nell’esecuzione di un servizio di call center hanno diritto a mantenere il posto di lavoro, nei casi in cui l’impresa committente decida di cambiare l’operatore cui viene affidata l’organizzazione del servizio stesso. La novità è molto rilevante, ma il cammino della nuova disposizione si preannuncia accidentato.

L’affermazione del principio, infatti, non viene accompagnata da un meccanismo chiaro per la sua applicazione, con la conseguenza che saranno molte le incertezze.

La prima questione che si pone riguarda l’ambito di utilizzo del nuovo sistema. La legge prevede che la clausola sociale si applichi in caso di «successione» di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la «medesima attività» di call center. Cosa accade se le imprese esecutrici del servizio mutano non per successione nella titolarità del contratto, ma in virtù di un subappalto?

Inoltre, come si fa a definire con certezza se l’attività oggetto del subentro è identica a quella affidata al precedente appaltatore? È ben possibile che, alla scadenza di un appalto, l’impresa committente decida di ridefinire, in tutto o in parte, i contenuti del servizio: in questi casi l’individuazione dei lavoratori rientranti nell’ambito di applicazione della norma e di quelli esclusi sarà molto difficile.

Non chiara neanche la platea degli addetti interessati dal passaggio: solo quelli che lavorano direttamente sul servizio oppure anche le strutture operative di supporto a questo personale? Un altro dubbio interpretativo si pone in relazione alla disciplina applicabile al rapporto di lavoro del personale che passa da un’impresa all’altra. La legge si limita a stabilire che «il rapporto di lavoro continua con l’appaltatore subentrante», senza chiarire se la continuazione avviene – come per i casi di trasferimento di azienda – con il mantenimento del trattamento economico e normativo goduto prima del passaggio del rapporto dal vecchio al nuovo datore di lavoro.

La norma affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati (prima del trasferimento) dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale il compito di definire modalità e le condizioni con cui avverrà la prosecuzione del rapporto. In mancanza di accordi, si prevede un intervento sostitutivo del ministero del Lavoro che, con proprio decreto da adottarsi dopo aver sentito le organizzazioni datoriali e sindacali, dovrà definire i criteri generali per l’attuazione del passaggio. Potrebbe accadere che il ministero ritardi oppure non provveda all’emanazione del decreto: in mancanza di una norma collettiva e del Dm, il datore di lavoro potrà modificare in tutto o in parte il trattamento economico e normativo applicato? La legge tace sul punto.

La nuova disposizione non disciplina neanche l’ipotesi in cui il vecchio e il nuovo appaltatore applichino contratti collettivi differenti con conseguenti problemi di coordinamento delle diverse disposizioni collettive vigenti.

Non chiara neanche la sorte delle spettanze di fine rapporto: dovranno essere liquidate al momento del passaggio oppure l’azienda uscente dovrà trasferire il relativo debito (e l’accantonamento connesso) alla cessionaria, come accade di regola quando il rapporto di lavoro viene trasferito da un soggetto all’altro? Anche questo aspetto potrà trovare risposte certe solo se saranno sottoscritte apposite intese collettive.

Vi è, infine, un problema più ampio: cosa accade se l’impresa cessionaria, a seguito del passaggio del personale, si trova a dover gestire un esubero di personale già alle sue dipendenze? Anche di questo la legge non se ne occupa.

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