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Giusta causa di licenziamento e dovere di fedeltà:

Con la sentenza n. 1978 del 2016, sulla giusta causa di licenziamento e dovere di fedeltà, la Corte Suprema ha stabilito che la valutazione della sussistenza della giusta causa, intesa come grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento della fiducia, deve essere operata anche con riferimento agli aspetti concreti del singolo rapporto di lavoro e di conseguenza senza tralasciare la posizione del dipendente nell’impresa e il grado di affidamento specificamente richiesto dalle mansioni che gli sono state affidate (cfr. in tal senso, Cass. 23 febbraio 2012, n. 2720), non potendosi ritenere sufficiente, ai fini in esame, una generica correlazione tra il fatto e la qualità di prestatore di lavoro o (come nella specie) tra un fatto extra – lavorativo e la idoneità professionale del prestatore alla prosecuzione del rapporto.

Ce ne parla l’articolo pubblicato oggi (3.2.2016) sul Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci; Titolo: “Doveri di fedeltà legati alla qualifica del datore”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

L’operaio generico che abbia consumato rapporti sessuali con persona affetta da gravi problemi psichici nell’auto posteggiata nelle immediate vicinanze dello stabilimento aziendale e che, inoltre, abbia omesso d’informare l’impresa della presenza della medesima persona in evidente stato di bisogno nei locali aziendali, non integra gli estremi della giusta causa di licenziamento.

È questa la conclusione cui è giunta la Cassazione con la sentenza 1978/16 depositata ieri dopo l’impugnazione del lavoratore nei confronti della sentenza d’Appello di Roma, che aveva, viceversa, ritenuto giustificato il provvedimento disciplinare espulsivo. Il ragionamento sviluppato dalla Corte risiede nella considerazione che la natura di operaio generico cui era addetto il lavoratore impediva di rinvenire nelle condotte da lui poste in essere gli estremi di una grave violazione dei doveri di diligenza e di fedeltà per aver disatteso, da un lato, elementari principi etici e, dall’altro, per non avere informato il datore di lavoro delle reiterate presenze nei locali aziendali della persona – con cui il medesimo operaio intratteneva abituali rapporti sessuali sia all’inizio, sia al termine del turno di servizio nella macchina posteggiata nello spazio antistante l’azienda – in evidente stato di bisogno e con gravi problemi psichici.

Ad avviso della Cassazione, il contenuto meramente esecutivo e privo di qualunque qualificazione tecnica delle mansioni di competenza del lavoratore impediva di attribuirgli un obbligo d’informazione nei confronti del datore di lavoro. Afferma la Corte, a questo proposito, che il dovere di diligenza trova il proprio limite nel contenuto della prestazione dovuta, nella natura delle funzioni assegnate al lavoratore e nell’interesse dell’impresa, che costituiscono gli unici criteri di commisurazione al fine di valutare la condotta del dipendente con riferimento alla violazione dell’articolo 2104 del codice civile.

Del pari, secondo la Corte, al lavoratore non risulta imputabile neppure la violazione dell’obbligo di fedeltà di cui al successivo articolo 2105 in quanto la struttura dell’impresa aveva una sua complessità organizzativa e si articolava in livelli di controllo e responsabilità che impedivano di attribuire alcun valore disciplinare all’omissione informativa contestata al lavoratore.

Sul diverso piano della consumazione dei rapporti sessuali nella propria vettura ad inizio e fine turno di lavoro, la Cassazione ribalta la tesi della Corte territoriale, che aveva ravvisato, invece, in tale condotta del lavoratore il venir meno dei doveri di solidarietà sociale e dei precetti dell’etica comune, da cui era legittimamente derivato un giudizio negativo sulla idoneità professionale del dipendente alla prosecuzione del rapporto. La Cassazione non condivide queste conclusioni e afferma che la condotta ascritta al lavoratore rientra indiscutibilmente nella sfera dei rapporti privati.

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