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Infortuni sul lavoro e responsabilità datoriale:

In tema di infortuni sul lavoro, non occorre, per configurare la responsabilità datoriale, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, essendo sufficiente che l’evento dannoso si verifichi a causa dell’omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all’imprenditore dall’art. 20187 c.c. ai fini della più efficace tutela dell’integrità fisica del lavoratore, con la conseguenza che ricadono sul datore di lavoro, che abbia omesso di adottare tali misure ed accorgimenti, anche quei rischi derivanti da cadute accidentali, stanchezza, disattenzione o malori comunque inerenti al tipo di attività che il lavoratore sta svolgendo.

È quanto stabilito dalla sentenza n. 46979 del 2015 della Corte Suprema di Cassazione ed è il tema di un articolo pubblicato oggi (27.11.2015) sul Sole 24 Ore (Firma: Luigi Caiazza; Titolo: “Il Codice civile previene l’infortunio”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

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Per configurare la responsabilità del datore di lavoro non è necessario accertare la violazione di norme specifiche in materia di sicurezza, è sufficiente che l’evento infortunistico si verifichi perché non sono stati adottati gli accorgimenti imposti all’imprenditore dal Codice civile per l’integrità dei dipendenti. È questo il principio essenziale che emerge dalla sentenza 46979/2015 della Cassazione depositata ieri.

La decisione riguarda l’infortunio mortale sul lavoro subito da un dipendente caduto da una trave in cemento armato posta a un’altezza di 1,47 metri e larga 30 centimetri. La difesa del ricorrente si è incentrata sulla circostanza che il lavoro era svolto ad altezza inferiore a 2 metri per cui non vi era l’obbligo di installazione dell’impalcatura di sostegno, all’epoca regolata dall’articolo 16 del Dpr 164/156, poi sostituito dall’articolo 107 del Dlgs 81/2008 che tuttavia non ne ha alterato il campo di applicazione.

Ciò non ha impedito alla Suprema Corte di rilevare in prima battuta che la condotta colposa ascritta al ricorrente, oltre che in termini di colpa generica, è imputabile anche a quella specifica per la violazione della regola cautelare posta dall’articolo 11, comma 7, lettera d, del Dpr 547/1955 in base al quale quando i lavoratori occupano posti di lavoro all’aperto, questi devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che gli stessi non possano scivolare o cadere.

In ogni caso, aggiunge la sentenza, vale il principio generale di diligenza e prudenza, secondo cui chiunque assuma, in qualsiasi momento e in qualsiasi occasione, una posizione di garanzia rispetto a un’attività di lavoro, deve operare per prevenire ogni prevedibile ed evitabile rischio e per garantire la sicurezza del luogo di lavoro.

Peraltro, entrambe le disposizioni tecniche richiamate possono ben riferirsi a lavori eseguiti ad altezza dal suolo, qualunque essa sia, che ne renda più difficile e rischiosa l’esecuzione, tanto da rendere necessario il ricorso a misure capaci di prevenire il rischio da cadute. In ogni caso, secondo la Corte, per configurare la responsabilità del datore è sufficiente che non siano state adottate quelle misure generali di sicurezza indicate all’articolo 2087 del codice civile, riferite alla particolarità del lavoro, all’esperienza e alla tecnica necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro.

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