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Libertà di sottoscrizione contratto procacciato dall’agente

La Sezione Lavoro della Cassazione ha riconosciuto al preponente la libertà di sottoscrizione o meno del contratto procacciato dall’agente, nonché il diritto di risolverlo, poiché non è tenuto a tutelare la professionalità del proprio agente (Cassazione sentenza n. 19300 del 21015).

È questo l’argomento di un articolo pubblicato oggi (7.10.2015) dal Sole 24 Ore (Firma: Olimpo Stucchi; Titolo: “Contratti dell’agente non obbligati”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

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La Cassazione ha riconosciuto come il preponente sia libero tanto di non sottoscrivere il contratto procacciato dall’agente, che di risolverlo, perché non tenuto a tutelare la professionalità del proprio agente. Con la conseguenza che, a fronte di tali decisioni, l’agente non potrà invocare la lesione della sua immagine professionale e recedere per giusta causa.

Nel caso di specie, la Corte suprema, con la sentenza 19300/2015, ha escluso che l’agente-promotore finanziario potesse invocare la giusta causa di recesso a fronte della scelta della banca-preponente di recedere ad nutum, in conformità alle previsioni pattizie, da taluni contratti di gestione collocati dal “dimissionario”.

Secondo i giudici, infatti, alla preponente non era imputabile alcuna condotta contraria ai principi di correttezza e buona fede secondo gli articoli 1175 e 1375 del Codice civile, dal momento che la stessa si era limitata a esercitare una facoltà prevista dal contratto di gestione sottoscritto dal cliente-investitore.

Oltre a ciò, la giusta causa era pure esclusa dal fatto che gli investitori fossero consapevoli dell’estraneità del promotore dalla scelta della preponente di risolvere i contratti di gestione.

In poche parole, la decisione della banca non aveva in alcun modo leso il rapporto fiduciario investitore-agente, unica ipotesi che consente al promotore di liberarsi senza preavviso dal contratto di agenzia.

Con un’argomentazione coerente, la Cassazione ha quindi declinato i principi dell’articolo 2119 del Codice civile (proprio del rapporto di lavoro subordinato) rispetto al contratto di agenzia, riconoscendo la centralità del rapporto di fiducia, in considerazione della maggior autonomia organizzativa attribuita all’agente (si veda anche Cassazione 11728/2014).

Al tempo stesso si è chiarito come il principio di correttezza, pur richiamato dall’articolo 1749 del codice civile, non possa essere elasticamente “esteso” al punto da gravare il preponente dell’obbligo di proteggere la professionalità dell’agente, mediante conferma dei contratti procurati dal promotore a garanzia del suo interesse economico e della sua immagine professionale.

Pertanto, solamente una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede consentirebbe all’agente di risolvere senza preavviso il contratto e ottenere il pagamento dell’indennità prevista dall’articolo 1751 del Codice civile.

Ma vi è un’ulteriore novità nella sentenza. Con ricorso incidentale l’ex agente aveva impugnato la decisione di secondo grado, laddove aveva escluso l’illegittimità e/o invalidità della clausola di stabilità, per cui il promotore si era impegnato a non recedere dal contratto in essere con la banca per un periodo di 60 mesi.

Orbene, secondo la Cassazione tale clausola contrattuale deve ritenersi valida, per almeno due motivi. Da un lato essa non ha natura vessatoria, dal momento che l’accordo di stabilità non impone all’agente alcuna limitazione della sua libertà contrattuale verso i terzi. Per la medesima ragione, poi, tale pattuizione è efficace senza che sia necessaria la specifica sottoscrizione del contraente.

Dall’altro lato, l’accordo neppure può ritenersi privo di causa, secondo l’articolo 1325 del Codice civile. A detta del promotore, la clausola di stabilità era in realtà fonte di un suo obbligo unilaterale, privo di corrispettivo o vantaggio di altro genere.

La Corte, invece, rigettando l’impugnazione, ha evidenziato la corrispettività tra l’impegno assunto dall’agente e il trattamento economico complessivo e migliorativo al medesimo riconosciuto dalla società preponente.

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