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Licenziamento durante permesso ex Legge 104

La Corte Suprema di Cassazione, con la Sentenza n. 8784 del 30 aprile 2015 ha stabilito che costituisce giusta causa di licenziamento il comportamento del lavoratore che, durante la fruizione di un permesso ex legge 104 del 1992 richiesto per assistere la propria madre handicappata grave si era dedicato a qualcosa che nulla aveva a che vedere con l’assistenza: aveva infatti partecipato ad una serata danzante.

In pratica – ad avviso della Suprema Corte – il punto fondamentale non riguarda il “tipo di assistenza ex art. 33, comma 3°, legge n.104 del 1992, così come modificato dalle successive leggi, che il ricorrente doveva fornire alla madre handicappata, quanto piuttosto sul rilievo della utilizzazione del permesso retribuito per finalità diverse da quelle per il quale il legislatore ha previsto il diritto al permesso retribuito”.

Ciò che conta infatti, si legge nella sentenza n. 8784/2015, non è la mancata prova dell’assistenza alla madre per le ore residue, ma l’utilizzazione – in conformità alla contestazione disciplinare – “di una parte oraria del permesso in esame per finalità diverse da quelle per il quale il permesso è stato riconosciuto. Conseguentemente non hanno valenza decisiva le censure che riguardano la mancata dimostrazione della utilizzazione delle ore residue del permesso e, quindi, in particolare la deduzione della violazione dell’onere della prova e della mancata ammissione della prova per testi sul punto in esame”.

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Ed ancora.

L’accertato disvalore sociale del comportamento del lavoratore ed il ritenuto abuso del diritto danno conto delle ragioni per le quali la Corte del merito, sia pure implicitamente, ha ritenuto irrilevante la questione della mancata affissione del codice disciplinare.

Costituisce, invero, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità l’affermazione secondo la quale in materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto “minimo etico” (Cass. 3 ottobre 2013 n. 22626, V. anche Cass. 18 settembre 2’009 n. 20270 secondo cui in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro)”.

Il comportamento del lavoratore, quindi, implica un disvalore sociale giacché il lavoratore aveva usufruito di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa“.

Ed è proprio questo accertato e ritenuto disvalore sociale che, in quanto proprio del comune sentire, rende irrilevante le deduzioni in esame.

La Corte non manca di rimarcare che “proprio per gli interessi in gioco, l’abuso del diritto, nel caso di specie, è particolarmente odioso e grave ripercotendosi senz’altro sull’elemento fiduciario trattandosi di condotta” idonea a porre in dubbio “la futura correttezza dell’adempimento in quanto sintomatica di certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti”.

Per tali motivi la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato, come sopra, al lavoratore.

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