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Riposi e permessi per i figli con handicap grave:

La normativa a tutela della maternità e della paternità consente ai genitori, naturali, adottivi o affidatari, di bambini con handicap grave, di usufruire, o del prolungamento del periodo di congedo parentale fino a tre anni o in alternativa due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino (art. 42 T.U.e art. L.n. 53/2000). Laddove l’handicap grave si verifica quando “la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione“, secondo la definizione che ne dà l’art. 3, comma 3, della L.n. 104/92.

 Invece dopo il terzo anno di vita del bambino con handicap grave, la lavoratrice madre o in alternativa il lavoratore padre hanno diritto a tre giorni di permesso mensile fruibili anche in maniera continuativa, a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.

Quando il figlio con handicap grave raggiunge la maggiore età la lavoratrice madre o in alternativa il lavoratore padre hanno sempre diritto a tre giorni di permesso mensile fruibili anche in maniera continuativa a condizione che sussista convivenza con il figlio o, in assenza di convivenza, che l’assistenza al figlio sia continuativa ed esclusiva. Laddove per continuità si intende l’effettiva assistenza nelle sue necessità quotidiane da parte del genitore del figlio con handicap; mentre l’esclusività si verifica quando il lavoratore che richiede il permesso è l’unica persona a prestare assistenza al figlio con handicap grave.

Tali permessi possono essere comulati con il congedo parentale ordinario e con il congedo per malattia del figlio. Inoltre, a norma del comma 5 dell’art. 42 cit. “la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità … accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge medesima da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all’articolo 33, commi 1, 2 e 3, della medesima legge perl’assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53 entro sessanta giorni dalla richiesta.

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Per quanto riguarda l’aspetto retributivo, nel periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa. Tale indennità viene anticipata dal datore di lavoro ma è di competenza dell’Istituto previdenziale come avviene per l’indennità di maternità. Sempre il citato comma 5 prevede che il congedo così fruito alternativamente da entrambi i genitori “non può superare la durata complessiva di due anni” e che “durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fatte salve le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 del medesimo articolo“. Infine al comma 6 è previsto che “I riposi, i permessi e i congedi di cui al presente articolo spettano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto“.

E’ importante segnalare che il D.Lgs. n. 119/2011 ha modificato il comma 2 e 5 dell’art. 42 del T.U.cit., come di seguito indicato.

Il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Il diritto a fruire dei permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992 , n. 104, e successive modificazioni, è riconosciuto, in alternativa alle misure di cui al comma 1, ad entrambi i genitori, anche adottivi, del bambino con handicap in situazione di gravità, che possono fruirne alternativamente, anche in maniera continuativa nell’ambito del mese.».

b) il comma 5 è sostituito dai seguenti: «5. Il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi.”

Sono stati aggiunti poi anche i commi 5-bis, ter, quater e quinquies, i quali stabiliscono che:

5-bis: “Il congedo fruito ai sensi del comma 5 non puo’ superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa. Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza. Il congedo ed i permessi di cui articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l’altro genitore non può fruire dei benefici di cui all’articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto”.

5-ter: “Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l’indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall’anno 2011, sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L’indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l’importo dell’indennità dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti all’ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non è prevista l’assicurazione per le prestazioni di maternità, l’indennità di cui al presente comma è corrisposta con le modalità di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33″.

5-quater: “I soggetti che usufruiscono dei congedi di cui al comma 5 per un periodo continuativo non superiore a sei mesi hanno diritto ad usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di congedo ordinario che avrebbero maturato nello stesso arco di tempo lavorativo, senza riconoscimento del diritto a contribuzione figurativa.

5-quinquies: “Il periodo di cui al comma 5 non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni dell’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53”.

Inoltre, a titolo di informazione, si rammenta che il D.Lgs. n. 119/2011 ha modificato il comma 3 dell’art. 33 della L.n. 104/1992 ad ha anche aggiunto il comma 3-bis, come segue: al comma 3 è stato aggiunto il seguente periodo: “Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”.

Mentre il comma 3-bis stabilisce che: “Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito.”.

 

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